I settimana - tempo ordinario - Martedi
dodane 2013-07-02 18:47
Oggi, primo martedì del tempo ordinario, san Marco ci presenta Gesù insegnando nella sinagoga e immediatamente commenta:
Il percorso di Gesù in Galilea approda a Cafarnao: è sabato e il luogo per eccellenza di quel quotidiano è la sinagoga.
Lì la presenza di Gesù è autorevole, la sua parola piace, attrae, stupisce.
«Erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come chi ha autorità, e non come gli scribi» (Mc 1,21).
Quest’ osservazione iniziale è impressionante.
Infatti, il motivo dell’ammirazione di quelli che ascoltavano, da una parte, non è la dottrina, ma il maestro;
non quello che viene spiegato, ma Colui che lo spiega; e, d’altra parte, non precisamente il predicatore, visto globalmente, ma specificamente rimarcato: Gesù insegnava «con autorità», cioè, con potere legittimo e irresistibile.
Questa particolarità resta poi riaffermata per mezzo di una chiarissima contrapposizione: «non lo faceva come gli scribi».
Ma la gente non riconosce in lui nessuno di famoso e probabilmente si chiede chi sia e da dove venga.
L'unico riconoscimento viene ad un certo punto da uno spirito immondo che sta possedendo uno degli ascoltatori. Lui sì che individua subito chi è Gesù.
Ma è messo a tacere immediatamente dalla parola efficace di Gesù stesso che gli intima di andarsene e lasciar libero quell'uomo.
In tutti i presenti rimangono solo la vista della liberazione di quella persona tormentata e l'interrogativo " Che è mai questo?".
Un fenomeno da studiare, una persona interessante che dice e fa cose che fanno pensare.
In un secondo tempo, la scena della guarigione dell’uomo possesso da uno spirito maligno aggiunge, al motivo dell’ammirazione personale, un fattore dottrinale: «Che è mai questo?
Abbiamo a disposizione un tesoro di vita e di amore che non può ingannare, il messaggio che non può manipolare né illudere.
È una risposta che scende nel più profondo dell'essere umano e che può sostenerlo ed elevarlo.
È la verità che non passa di moda perché è in grado di penetrare là dove nient'altro può arrivare.
La nostra tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore.
Evangeli Gaudium 266